Combustibili fossili  e cambiamento climatico

 

Atti del convegno “La festa è finita – Vie d’uscita dall’economia del petrolio”

Roma (Casale Alba), 11-12 dicembre 2004

www.inventati.org/forumenergia

 

Franco Marenco

Scienziate e scienziati contro la guerra

 

 

 

I combustibili fossili rappresentano l’80-90% del fabbisogno energetico mondiale. Tuttavia, essi presentano tre gravi inconvenienti:

1)      Sono distribuiti disegualmente fra i territori del mondo. Ironia della sorte vuole che i paesi più energivori sono da annoverare tra quelli che dispongono di riserve più limitate. Questa circostanza è vissuta dai paesi ricchi, e specialmente dagli Stati Uniti, come una minaccia per la continuità dell’approvvigionamento energetico. In questo quadro va inserita la geopolitica di dominance degli USA, il cui prodotto più visibile sono le “nuove guerre”.

2)      Le riserve mondiali sono limitate. Le risorse fossili non sono rinnovabili, per cui gli esperti prevedono, tempo qualche lustro, il raggiungimento del picco di produzione del petrolio e del gas naturale. Intorno a tale data si prevedono grosse tensioni economiche e politiche dovute al divario fra domanda e offerta, e nei decenni successivi ci si aspetta un declino fino ad arrivare nel tempo di mezzo secolo alla fine di un’era.

3)      La combustione comporta l’emissione di anidride carbonica (CO2). Tale gas viene considerato il maggior responsabile della modifica del clima. In un processo di combustione perfettamente efficiente si ha una molecola di CO2 per ogni atomo di carbonio presente nel combustibile; tale emissione è intrinsecamente inevitabile trattandosi di uno dei prodotti di reazione.

In questo intervento focalizzerò l’attenzione sul terzo aspetto.

 

Vediamo di approfondire le peculiarità dell’anidride carbonica rispetto ad altri inquinanti. I punti salienti sono quelli dell’accumulo e dell’effetto ritardato. Un inquinante “tradizionale” ha solitamente un’azione nociva pressoché immediata; inoltre esso è soggetto a processi chimici che tendono a rimuoverlo dall’atmosfera nel giro di pochi giorni o settimane. La CO2 è invece un gas inerte; tale espressione significa che essa è chimicamente stabile, tende cioè a non subire trasformazioni. Per tale motivo, essa non è nociva nel senso tradizionale del termine, anzi può essere respirata senza produrre alcun danno (a concentrazioni tali che essa non si sostituisca all’ossigeno). Tuttavia, per il fatto che è chimicamente inerte, non possono entrare in gioco meccanismi che la rimuovano dall’atmosfera: si stima che il tempo di residenza di una molecola di CO2 sia dell’ordine di un centinaio d’anni, a fronte dei pochi giorni o settimane di un inquinante tradizionale. La conseguenza è molto semplice: l’anidride carbonica emessa dalla combustione si accumula nell’atmosfera, e quest’ultima si trasforma in un gigantesco serbatoio. Tale accumulo è destinato ad intensificarsi sempre di più mano a mano che cresce il consumo dei combustibili fossili.

 

Una caratteristica importante della CO2 è la sua capacità di assorbire la radiazione infrarossa. Questo significa che l’anidride carbonica presente nell’atmosfera contribuisce a trattenere il calore che la Terra irradia verso lo spazio interplanetario. In un certo senso possiamo dire che essa si comporta “come una coperta”. Questo fenomeno è sempre stato presente nei millenni, in quanto una certa quantità di CO2 è naturalmente presente nell’atmosfera; esso prende il nome di effetto serra. Il fatto è che, come abbiamo accennato, l’anidride carbonica che oggi viene emessa a seguito della combustione va ad accumularsi nell’atmosfera e a sommarsi a quella che vi si trova naturalmente: è come se ogni anno che passa aggiungessimo un’altra coperta!

 

C’è un organismo scientifico, l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), che si occupa di mettere insieme le osservazioni e le conoscenze sul cambiamento climatico, nonché di formulare scenari di previsione per il futuro. Secondo l’ultimo rapporto, pubblicato nel 2001, fra un centinaio di anni arriveremo ad una concentrazione di CO2 compresa fra il doppio ed il quadruplo di quella preindustriale (a seconda di quale sarà stato lo scenario di sviluppo adottato nel frattempo). Come conseguenza, l’aumento della temperatura media climatica globale che verrà osservato sarà compreso fra 1,5 e 6°C, mentre il livello medio del mare si sarà innalzato di una quantità compresa fra 10 cm e 1 m. Il rapporto prevede inoltre un aumento della desertificazione, aumentate probabilità di inondazioni delle fasce costiere e di eventi meteorologici estremi, modifiche e squilibri della produzione agricola e alimentare, l’estinzione di numerose specie animali e vegetali, nonché serie minacce per la salute (specie per le popolazioni a basso reddito).

 

Per mettere in moto la macchina della modifica del clima dell’intero Pianeta, l’uomo ci ha messo due secoli di sviluppo industriale. Ma, come abbiamo detto, l’effetto sul clima è in gran parte differito per via dell’accumulo dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Per questo motivo ci si può rendere conto che se c’è voluto molto sforzo (inizialmente inconsapevole) per avviare la macchina, altrettanto difficile sarà fermarla. Se oggi azzerassimo da un giorno all’altro tutte le emissioni, secondo l’Ipcc osserveremmo che la concentrazione di CO2 aumenterebbe ancora per qualche secolo; la temperatura aumenterebbe per un ulteriore secolo stabilizzandosi su un aumento complessivo di 1÷3°C; mentre il livello del mare continuerebbe a salire per molti secoli successivi. Non si parla ormai più di impedire i cambiamenti climatici bensì di mitigarli, ossia di ridurre il danno (cosa che si può fare riducendo al più presto e drasticamente le emissioni).

 

La preoccupazione per le conseguenze del cambiamento climatico, anche se forse non è molto avvertita dal “grande pubblico”, è tale da aver portato i governi di tutto il mondo a sottoscrivere nel 1997 il Protocollo di Kyoto, un primo anche se timido passo verso un governo mondiale del clima. Esso prescrive la riduzione delle emissioni globali dei paesi industrializzati del 5% rispetto al 1990, da realizzare entro il quadriennio 2008-2012; lo sforzo fra i diversi paesi è ripartito secondo una tabella allegata. I gas serra contemplati dal trattato sono sei: oltre alla CO2 ci sono il metano, il protossido di azoto, gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi, e l’esafluoruro di zolfo. Purtroppo il trattato è fortemente indebolito da una serie di condizioni. In primo luogo, menzioniamo i “meccanismi flessibili”, previsti dal trattato stesso e che ne riducono la portata. Va inoltre ricordato il ritiro della propria adesione da parte degli Stati Uniti, cioè lo Stato con le emissioni più elevate. Altro punto debole è la ritardata entrata in vigore del trattato, la quale avverrà questo febbraio, dopo ben sei anni dalla data inizialmente prevista. Infine, va detto che l’ostacolo maggiore è probabilmente rappresentato dalla crescita economica/energetica intervenuta nel frattempo, la quale ha visto crescere le emissioni a livello globale.

 

Va comunque ricordato che quella in atto non è la prima modifica dell’atmosfera avvenuta ad opera di organismi viventi. Fino a due-tre miliardi di anni fa, infatti, l’atmosfera terrestre conteneva una grande quantità di carbonio, sotto forma di anidride carbonica e metano. Ad un certo punto dei microrganismi, chiamati cianobatteri, iniziarono la fotosintesi, quel processo grazie al quale viene sfruttata l’energia solare per la produzione di materia organica e ossigeno dall’anidride carbonica. Molto lentamente l’atmosfera si trasformò (ci vollero, si dice, 400 milioni di anni); ma l’ossigeno prodotto era tossico per gli esseri viventi del tempo, per cui l’ecosistema andò incontro ad una catastrofica estinzione di massa e gli stessi cianobatteri perirono. Si arrivò così all’atmosfera come la conosciamo oggi, senza la quale non avrebbero potuto svilupparsi le specie superiori. E’ dunque grazie alla fotosintesi che il carbonio è stato rimosso dall’atmosfera per andarsi a fissare nei tessuti viventi, e che una frazione di esso sia poi finita sotto terra a formare, nel corso di lenti processi geologici, i combustibili fossili. Ebbene, la potenza dell’uomo è arrivata ormai al punto di ributtare in aria, nel tempo di uno o due secoli, una parte considerevole quel carbonio, sia tramite la combustione, sia tramite il disboscamento!

 

La profonda causa dei cambiamenti globali va ricercata nel modello di sviluppo. Con la Rivoluzione Industriale si è dato inizio all’espansione del sistema capitalistico, basato sull’accumulazione perpetua di ricchezza e sulla crescita frenetica del Prodotto Interno Lordo (PIL). Il sistema viene considerato “in crisi” non solo se va incontro ad una fase di contrazione, ma anche se la crescita non è abbastanza potente da mantenere in vita le illusioni sulle quali esso si basa. Ci troviamo pertanto in un’economia fondata sulla crescita perenne, che si prefigge come scopo la continua riproduzione di sé stessa. A questo punto, però, è importante ricordare che c’è un evidente legame fra crescita del PIL, prelievi energetici ed emissioni, alla luce del quale certe forme di ambientalismo assomigliano un po’ a lacrime di coccodrillo.

 

Esaminiamo adesso brevemente le fonti di energia che sono tradizionalmente contemplate come alternative al modello basato sugli idrocarburi:

A)    Carbone e nucleare: ossia i combustibili più “sporchi”, però anche quelli disponibili in quantità tali da poter tenere ancora in vita il sistema capitalistico sul medio periodo. Essi vengono considerati negli ambienti industriali e politici come i più probabili sostituti di petrolio e gas naturale, malgrado il fatto che non risolvono il problema ambientale (per il primo si prospettano emissioni di CO2, nonché altri inquinanti, in quantità maggiori che con il petrolio; per il secondo vi è il problema delle scorie radioattive).

B)     Idrogeno: se ne parla molto, ma non è una fonte energetica. L’idrogeno deve essere prodotto da altre fonti, e le più probabili sono appunto il carbone e il nucleare!

C)    Fonti rinnovabili: queste tecnologie non sono ancora mature per un loro impiego su larga scala, anche se sono in atto enormi progressi. Non è immaginabile arrivare a coprire con le fonti rinnovabili più di una frazione dell’enorme fabbisogno energetico mondiale che è stato raggiunto.

D)    Risparmio: quest’opzione è da considerarsi molto più efficace delle fonti rinnovabili, in quanto è ipoteticamente possibile arrivare a dimezzare il consumo di energia mantenendo il medesimo modello e tenore di vita. Risparmio energetico non vuol dire tanto spegnere la TV quando non la si guarda, quanto produrre dispositivi ed apparati più efficienti. Vi è da dire però che il risparmio è importante ma insufficiente a fronte di un sistema in perenne crescita.

 

Vi è infine un’opzione molto più radicale, che è quella della decrescita, forse l’unica che può realisticamente portarci ad un modello di sviluppo compatibile con il meraviglioso pianeta sul quale abbiamo la fortuna di vivere. La decrescita deve essere un progetto sociale nuovo accompagnato da un profondo cambiamento degli obiettivi dello sviluppo, deciso collettivamente e consapevolmente. Tale progetto deve essere basato non più sulla competizione bensì sulla cooperazione dell’umanità intera. Oggi la parola “decrescita” è solo uno slogan, ma essa dovrà prendere una forma tale che, nel rispetto dell’equità, si proceda ad un’effettiva riduzione del PIL mondiale. Non si tratta di propugnare una società basata sull’assenza di sviluppo, in quanto lo sviluppo è un diritto dei popoli. Tantomeno si tratta di volere un sistema capitalistico in crisi, in quanto nessuno può auspicare di trovarsi in mezzo ad una tale crisi. E neppure di effettuare “piccoli esperimenti” qua e là, i quali possono avere una loro utilità dal punto di vista dimostrativo soltanto se vengono poi estesi alla società nel suo complesso. In poche parole, la decrescita deve essere coordinata e governata a livello globale. Tuttavia, data l’ottusità di chi ci guida e ci governa, si rende indispensabile un rovesciamento dei rapporti di forza, da perseguire in primis con la riappropriazione, da parte di popoli e lavoratori, di un’egemonia culturale da contrapporre al paradigma del mercato.

 

La decrescita non è un ideale irraggiungibile, ma una necessità: perché non vogliamo continuare lo sviluppo basato sui combustibili fossili e tanto meno sull’energia nucleare; perché ci siamo accorti che è ora di smettere di saccheggiare la Terra; perché non vogliamo più guerre per l’accaparramento delle risorse energetiche; e infine perché la priorità mondiale di oggi non è la crescita ma la redistribuzione della ricchezza!

 

 

 

 

 

Bibliografia:

 

 

Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, Lussemburgo 2001 (europa.eu.int/comm/off/green).

 

Consiglio dell’Unione Europea, decisione 358 del 25/4/02, “Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee” n. L130 del 15/5/02: approvazione del protocollo di Kyoto e relativo testo (europa.eu.int/eur-lex).

 

Di Fazio, A., Le connessioni fra la guerra dei Balcani e la crisi energetica prossima ventura, in Aa.vv., Imbrogli di Guerra, Odradek, Roma 1999 (www.scienzaepace.it/attivita/convegno1/libro1/index.html).

 

Ipcc, Third Assessment Report – Climate Change 2001, Cambridge University Press, Cambridge 2001 (www.ipcc.ch).

 

Latouche, S., Per una società della decrescita, in “Le Monde Diplomatique”, novembre 2003 (www.ilmanifesto.it/MondeDiplo).

 

Marenco, F., E. Martines e M. Zucchetti, Energia: una crescita insostenibile, in “Giano – Pace, ambiente e problemi globali” n. 46, aprile 2004 (www.odradek.it/giano).